Immergersi in un’esperienza inaspettata: un vero e proprio paradiso per i bambini, che possono recarsi in questo luogo, soprattutto sotto Natale, per dare una nuova vita alle loro bambole e ai loro giocattoli, valorizzando ciò che hanno già.
Come nasce l’idea dell’Ospedale delle Bambole e qual è la storia di questa bottega-museo?
L’insegna “Ospedale delle Bambole” venne affissa fuori dalla bottega del mio bisnonno, in via San Biagio dei Librai 81 a Napoli, nel 1895. Luigi Grassi era scenografo del teatro dei pupi e spesso si trovava ad aggiustarne qualcuno che in battaglia perdeva un arto o la testa. Veniva chiamato ‘dottore’ perché portava sempre un camice, per non sporcarsi di vernice. Un giorno, una signora gli portò una bambola rotta e gli chiese di provare ad aggiustarla: ci riuscì e nel quartiere si sparse la voce che c’era un dottore che curava le bambole. Ben presto la bottega si riempì di pezzi di bambole e una signora passando di lì esclamò “Me pare o ‘spital de’ bambule” (mi sembra l’ospedale delle bambole). Il mio bisnonno si illuminò e senza perder tempo prese una tavola di legno e con una vernice rossa scrisse “Ospedale delle Bambole” e vi appose una croce.
Dopo di lui fu il turno di Michele, mio nonno, Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana, che gestì la bottega negli anni della guerra e si dice riparasse le bambole “al prezzo di un sorriso”. Il laboratorio ottenne la prima fama con mio padre, Luigi Grassi, capace di tenere viva l’attività in un momento in cui il centro storico era palcoscenico di faide della camorra. La sua bottega fu definita “la lampada di Aladino”: l’unico posto che emanava luce e attirava turismo in anni di terrore e sconforto per i commercianti di Spaccanapoli.
Tappa per gli intellettuali del tempo e per molti artisti: Renzo Arbore, Marisa Laurito, Roberto de Simone, Peppe Barra, i De Filippo… solo per citarne alcuni.
Poi sono arrivata io e, dopo anni trascorsi a mantenere viva quest’arte nel mondo del restauro negli anni del consumismo, otto anni fa ho deciso di trasferire la bottega di 18 mq nelle scuderie di Palazzo Marigliano: un laboratorio-museo di 150 mq che potesse raccontare la nostra storia, accogliere tutto quello che le tre generazioni che mi precedono hanno conservato, con cura certosina, all’interno di magazzini sparsi nel centro storico, e far “rinascere” il tema del restauro, raccontando ai nostri visitatori quanto è importante non abbandonare un oggetto amato.