Mauro Patrini: valorizzare e proteggere un saper fare antico
Mauro Patrini è restauratore, decoratore e docente di stucco marmo. Specializzato nella tecnica della scagliola, da anni si dedica a trasmettere quest’arte tramite l’insegnamento e portando avanti iniziative di promozione e divulgazione.
Nel 2023-24 ha fatto parte di una squadra selezionata per il completamento delle decorazioni in scagliola negli appartamenti estivi della Regina Anna d’Austria al Museo del Louvre. In questa intervista ci racconta la sua storia, la passione per il mestiere e l’impegno per far conoscere un’arte antica da proteggere e valorizzare.
Qual è la tua storia e come ti sei avvicinato alla tecnica della scagliola?
Sono artigiano dal 1987. Al tempo lavoravo con i miei fratelli come pavimentista, ma non ero completamente soddisfatto, perché non riuscivo a esprimere come avrei voluto la mia creatività. Così mi sono iscritto a un corso per archi di violino al CFP di Cremona. Cosa c’entrasse tutto questo con il mio lavoro? Niente, ma il corso mi dava l’opportunità di frequentare un ambiente vivace e creativo. E avevo ragione, perché la mia insegnante di incisione ha capito che ero dotato di una certa manualità e mi ha consigliato, una volta portato a termine quel percorso, di iscrivermi al corso di scagliola che il CFP di Cremona aveva appena attivato. Ed è stato amore a prima vista! Ho poi continuato la mia formazione al Centro Europeo di San Servolo, a Venezia, dove mi sono specializzato nella tecnica della scagliola e dove ho anche appreso molte altre tecniche legate alla conservazione del patrimonio architettonico, come il marmorino e l’affresco. Poi sono diventato docente nella stessa scuola di San Servolo.
Cosa significa oggi tramandare una tradizione così importante, e che rischia di scomparire?
È davvero molto importante. In un mondo in cui sembra che tutto ciò che conta sia avere visibilità e denaro, c’è il rischio che si creda che tenere per sé il proprio know-how sia garanzia di successo e di poca concorrenza. Un pensiero che non potrebbe essere più sbagliato. La tecnica della scagliola rischia di scomparire proprio perché è lontana dalle logiche della modernità, richiede tempi di lavorazione molto lunghi in un mondo che va velocissimo, e questo incide sulle scelte dei committenti che prediligono materiali meno impegnativi e più economici, e questo perché non si comprende il valore di questa tecnica, non conoscendola. Tramandarla significa invece renderla nota a un numero sempre maggiore di professionisti e non, ma soprattutto significa garantire la continuità nella formazione, di artigiani capaci di intervenire con competenza e consapevolezza a tutela del patrimonio artistico e artigianale, nazionale e internazionale. Dagli anni ‘60 agli anni ‘80 del secolo scorso, la tecnica della scagliola in Italia sembrava scomparsa, perché non era stata adeguatamente tramandata. È stato anche grazie alla scuola di San Servolo che la tecnica ha trovato nuova vita.
Porti avanti delle attività per diffondere la conoscenza della tecnica?
Certo, per me è fondamentale insegnare ciò che ho imparato sulla tecnica della scagliola. Per questo dal 1996 l’ho insegnata in vari istituti, dal Centre de Formation du Bâtiment di Antibes, a San Servolo e Villa Fabris, per citarne alcuni. Si tratta di corsi intensivi, in cui in 7/8 giorni si possono conoscere i fondamenti della tecnica, anche se poi per padroneggiarla serve tempo, costanza e sperimentazione personale. Ho recentemente aderito al bando AREST della regione Lombardia per utilizzare uno spazio nelle Case Matte dell’antica cerchia muraria di Pizzighettone come laboratorio artigianale. Qui terrò i miei corsi d’ora in avanti, e l’idea è poi di mettere a disposizione lo spazio anche per altri docenti e professionisti, perché sono tante le tecniche che devono continuare a essere tramandate. Il nostro paese è la culla dell’arte e dell’artigianato e non possiamo rischiare che l’incompetenza o la mancanza di conoscenza compromettano il valore di queste opere. E poi ancora, per diffondere la tecnica della scagliola realizzo workshop dimostrativi o formativi, come ho fatto a Monaco di Baviera in occasione della International Trade Fair Special Exhibition Exempla “Cultural Heritage” o a Shanghai, alla facoltà di architettura di Suzhou e al “Let’s talk 101” del Susas Building e ancora alla Fondazione Tadini a Milano. Nel 2019 ho partecipato anche a ITACA (International Training and Actualising Centers of Artisanship). Si tratta di un’iniziativa nell’ambito del progetto UNESCO Intangible Heritage, che mira alla formazione di una consapevolezza comune, globale, che tuteli il patrimonio culturale immateriale nel mondo e consenta di creare nuove opportunità per il futuro, partendo proprio dalle tradizioni del passato. Lo scopo del progetto è di mettere in relazione l’eccellenza artigianale di Cina e Italia con il mondo dell’arte, del design e dell’architettura, per salvaguardare il patrimonio di valori e conoscenze e rilanciare il comparto produttivo legato alle tecniche tradizionali, che i processi industriali hanno indebolito. A causa della pandemia però, però il progetto è stato temporaneamente sospeso, ma ho speranza che si possa riprendere prima o poi.
Come si coniuga tradizione e innovazione nel tuo mestiere?
In apparenza potrebbe sembrare che una tecnica così antica e che si realizza in modo esclusivamente manuale non possa essere associata al concetto di innovazione: non si usano attrezzi tecnologici, non è digitale e ha un sapore antico. Ma io credo che se si considera la tecnica della scagliola come la sterile imitazione del marmo usando il gesso, si commette un grave errore. Certo questa è stata la sua origine, perché in passato la lavorazione del marmo era insostenibile per i costi elevati e la mancanza di macchinari adeguati. Ma nel corso del tempo la scagliola è stata riconosciuta come una vera e propria forma di espressione artistica. Dal 2000 io ho abbracciato a pieno questa tendenza cercando di decontestualizzare la scagliola, di liberarla dal giogo della decorazione e del restauro, e di darle nuova linfa. Della tecnica artigianale ho fatto, quindi, un mezzo espressivo, rivisitandola in chiave contemporanea per creare forme minimaliste, semplici, concise, spesso monocrome. Nelle mie opere, la tecnica antica, le superfici levigate, i colori, i materiali, le forme mirano a suscitare nell’osservatore sensazioni tattili e visive, a lasciar fluire pensieri, idee, emozioni attraverso un filo invisibile che unisce passato, presente e futuro. Ricorro a un sapere antico per essere attuale. Recentemente ho anche avviato una sperimentazione a partire da pattern in scagliola, per realizzare tessuti attraverso la digitalizzazione delle formelle. Un progetto ancora embrionale, ma che potrebbe aprire a nuovi sviluppi e usi della tecnica.
Stai per portare a termine un incarico molto importante al Museo del Louvre. Che tipo di lavoro hai svolto e com’è stata questa esperienza?
Sì, il cantiere si è concluso a gennaio, stanno ultimando gli altri interventi e alla fine di giugno dovrebbe tenersi l’inaugurazione. Al Louvre abbiamo completato la decorazione in scagliola delle stanze negli appartamenti estivi della regina Anna d’Austria. La decorazione era stata realizzata dal 1929 al 1936, ma una stanza era rimasta incompiuta. Il museo ha cercato a lungo una soluzione di continuità senza successo, finché ha indetto un bando, per trovare un’impresa che fosse in grado di portare a termine il lavoro. Così, abbiamo ricreato la squadra con cui nel 2000 avevo realizzato la pavimentazione del Coffee House a Roma, nel Palazzo del Quirinale: Feliziani, Patrini e Tranquart, a cui si sono aggiunti altri professionisti, il professor Poletti, lo scagliolista Emmanuel Sechelaru e la restauratrice Sara Scarafoni. Ritrovarsi dopo quasi 25 anni è stato emozionante, e sembrava che il tempo non fosse passato. La sintonia è stata immediata e abbiamo portato a termine un’impresa che ha lasciato stupiti anche gli stessi committenti. Arnaut Amelot, direttore dell’architettura del museo, ha scritto una lettera di suo pugno per ringraziarci. È stata una grande soddisfazione lavorare in uno dei luoghi più belli e prestigiosi del mondo, anche se non sono mancate le preoccupazioni. Insomma, quando lavori per il Louvre non puoi permetterti di sbagliare niente!
Quali sono state le principali difficoltà di questo lavoro?
È importante comprendere che non si è trattato di un restauro, ma di una decorazione ex-novo. Tuttavia, per portare a termine il lavoro era necessario possedere competenze sia di restauro che di cantiere. Infatti, sebbene la decorazione fosse da realizzare da zero, bisognava riprodurre esattamente il pattern realizzato quasi cento anni prima.
La maggiore difficoltà è stata proprio quella di replicare i colori e le venature, considerando che i pigmenti, il gesso e tutti i materiali di oggi sono molto diversi da quelli che si utilizzavano all’inizio del Novecento. Inoltre abbiamo lavorato in un grande cantiere, con altre imprese e con impalcature imponenti a 20 cm dalle pareti, senza possibilità di rimuoverle o spostarle in base alle nostre esigenze. E non ultima la fatica: 156 metri quadri di intonaco in scagliola da applicare, e soprattutto da levigare e stuccare poi, rigorosamente a mano per sette passaggi, ogni volta con pietre e carte abrasive di granulometria sempre più fine, fino alla lucidatura. Le carte poi sono ad acqua, e in inverno non è stato facile stare ore con le mani nell’acqua fredda.
Cosa ha aggiunto questa esperienza, al tuo già importante bagaglio di conoscenze nel settore?
Ogni volta che si realizza un lavoro, che sia un oggetto di design, un’opera d’arte o un cantiere, si impara qualcosa di nuovo. Potrei dire che dopo trent’anni di esperienza conosco questa tecnica come le mie tasche, ma non è così. La scagliola ti sorprende sempre, l’imprevisto è dietro l’angolo e devi saper reagire, e soprattutto risolvere il problema. Quindi non posso indicare una cosa in particolare che si sia aggiunta al mio bagaglio di conoscenze, sono tante piccole cose. Certamente il fatto di lavorare in squadra ha aiutato molto, perché dagli altri c’è sempre da imparare.
Io cerco sempre di apprendere da chi mi sta intorno, e poi di trasmettere ciò che ho imparato ai miei allievi, affinché possano farne tesoro.
Cosa diresti a chi vuole avvicinarsi a questo mestiere?
Direi due cose: siate umili e competenti. La tecnica della scagliola è molto eclettica. Permette di realizzare tanti prodotti diversi, dagli oggetti più piccoli alle grandi superfici, dal lavoro in laboratorio a quello in cantiere. Non c’è una retta via nell’applicazione, si può spaziare dando libero sfogo alla propria creatività. Ma la tecnica va rispettata. Non cercate scorciatoie per ridurre i tempi di lavoro e soprattutto non accettate commesse attirati dalle prospettive di guadagno o di prestigio se non vi sentite pronti. Il rischio è di non riuscire ad affrontare il lavoro, di non soddisfare il committente, di compromettere la vostra professionalità e di danneggiare un patrimonio che è di tutti. La tecnica della scagliola non si impara in due giorni, ma neanche in due anni. Prendetevi il tempo che vi serve per conoscerla, sperimentarla e amarla. E soprattutto sappiate che il lavoro di squadra è d’obbligo nelle grandi committenze.
Mauro Patrini
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