La tradizione del Presepe Napoletano per Marcello Aversa

Nel meraviglioso racconto del Maestro sorrentino emerge tutta la sua infinita passione e dedizione per un arte antica che si nutre di valori tradizionali, di autenticità, di impegno e di grande gioia, tanto per l’artigiano quanto per chi può godere delle sue creazioni.

Qual è la sua storia e il suo percorso? Come nasce la passione per il presepe napoletano?
Credo di aver mosso i primi passi nella fornace di famiglia, in un piccolo opificio nel casale di Maiano, nel cuore della Penisola Sorrentina. Qui si producono laterizi per forni a legna fin dal Quattrocento. Già da piccolo ero attratto da quella massa morbida, che a seconda della forma usata diventava ora un mattone, ora un quarto di luna destinato alla pavimentazione di un forno.
Quando avevo diciotto anni mio padre morì e, forse per la prima volta, mi trovai di fronte ad un bivio importante: continuare a studiare o seguire le sue orme. Onestamente la scelta non fu difficile, mi accontentai del mio diploma di ragioniere e iniziai a lavorare nella fornace. Intanto un’altra passione mi rapiva sempre più, quella per il presepe napoletano. In fondo, in un luogo così pregno di tradizioni, non era difficile che un ragazzo partecipasse in famiglia alla costruzione di quel plastico che avrebbe accolto il Bambino la notte del 24 dicembre. Così iniziai la gavetta, aiutando mio padre e mia zia che allestivano il presepe con sughero, carta stagnola, pietrine, muschi e tutto quello che poteva avvicinare quel paesaggio così precario alla realtà.
Ad un certo punto, con quell’orgoglio che contraddistingue la giovinezza, mi misi in proprio ed iniziai a realizzare piccoli presepi con tufi e pezzetti di mattoni recuperati dalla fornace. Col tempo, gli spazi di casa si rivelarono un limite per la mia fantasia, così iniziai a sfruttare alcuni locali adiacenti la cappella del casale dedicata a San Rocco. Anch’essa ben presto non riuscì a contenere più montagne, colline, fiumi e villaggi, così iniziai a peregrinare per le chiese della Penisola Sorrentina.
Quando sei giovane, sei portato a pensare che la grandezza di ciò che fai sia direttamente proporzionale alla gratificazione che ne verrà. Poi, col passare degli anni, ti accorgi che non è tanto la grandezza, quanto quello che riesci a comunicare che fa la differenza. Fu così che negli anni novanta, con la stessa creta di mattoni, cominciai a modellare piccoli presepi, accorgendomi con stupore che tutto quello che realizzavo in grandi spazi, riuscivo a contenerlo nel palmo di una mano. In quei piccoli microcosmi immortalavo tutto quello che mi circondava: i casolari sorrentini, i ruderi romani della Villa Pollio Felice adagiati sugli scogli a picco sul mare, la straordinaria vegetazione della mia terra, gli antichi costumi della mia gente.
Partecipando a diverse mostre collettive, col passare degli anni mi resi conto che da parte del pubblico cresceva un discreto consenso nei confronti di quelle terrecotte. Mi trovai così di fronte ad un altro bivio: continuare la tradizione di famiglia o iniziare un nuovo cammino. Tra lo stupore scettico di parenti ed amici scelsi la strada più difficile, lasciai la fornace e iniziai a rincorrere la mia passione. Dalle forme lineari dei mattoni passai a quelle più articolate dei presepi.
I primi tempi si mostrarono molto difficili, soprattutto a livello economico, così iniziai a modellare figure singole da poter vendere nella strada più famosa al modo per i presepi: San Gregorio Armeno a Napoli. Ora lo ricordo e mi viene spontaneo un sorriso, ma quante volte quelle Madonne, santi Giuseppe, zampognari, angeli e pastori hanno viaggiato con me, sul treno che collega Sorrento a Napoli, sia all’andata che al ritorno.
La svolta ci fu nel 2001, quando riuscii ad aprire una bottega nel centro storico di Sorrento, con grandi sacrifici ma aiutato dal mio fratello maggiore. Da allora, oltre ai presepi ho iniziato modellare anche altri soggetti legati alle tradizioni della mia terra, come le processioni degli incappucciati della Settimana Santa, così care a chi vive questi luoghi, scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, Alberi della Vita, croci sulle quali, con diverse scene, racconto la storia della Salvezza.

Oggi come si mantiene viva una tradizione importante come quella del presepe napoletano?
Una delle cose più difficili per la società contemporanea è mantenere e tramandare non solo le tradizioni ma tutto quello che riguarda l’autenticità del nostro Paese. Il mondo corre troppo veloce e noi con lui: sarà per questo che non riusciamo più a vedere l’essenziale, quello che, come diceva Antoine de Saint-Exupéry, non si vede bene che col cuore.
Oggi nuovi termini hanno arricchito – o indebolito, dipende dai punti di vista – il nostro linguaggio, lasciando ai margini quelli che per secoli sono stati veri e propri insegnamenti e modelli anche per altri popoli: arte, cultura, tradizioni, solidarietà, passione. È proprio la passione di tante donne e uomini che può ridurre sensibilmente quel divario che si è venuto a creare tra la vecchia e la nuova generazione, sempre più lontana dalla nostra storia, sempre più vicina a storie che non ci appartengono. Questo vale anche per il presepe napoletano.

Qual è l’opera più importante, o quella più complessa realizzata finora?
Sono legato a tante opere, forse perché nel realizzarle il mio primo obiettivo è stato quello di soddisfare soprattutto me stesso. Tuttavia, c’è un’opera che, se mi è concesso il termine, amo di più. È un Albero della Vita, che è stato collocato nel Duomo di Mirandola dopo i lavori post terremoto: una croce alta due metri e mezzo, sulla quale è raccontata la storia della Salvezza attraverso le scene più salienti. Prima della definitiva sistemazione, Vita Semper Vincit – questo il titolo dell’opera – è stata esposta a Sorrento nella Cattedrale, a Napoli nella Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi e a Firenze nella Basilica di Santo Spirito.

Da dove viene l’ispirazione per le sue opere?
Non lavoro mai su un progetto a tavolino. L’ispirazione è istantanea, viene dall’immaginazione, la stessa che ha un bambino che gioca, e credo che questo sia l’unico modo per creare piccoli mondi. In questo mi sento fortunato perché, pur facendo sacrifici, pur sottraendo tempo alla mia famiglia, non ho mai pensato che la mia fosse una fatica ma un vero e proprio divertimento.

Quanto tempo richiede la realizzazione di un presepe di medie dimensioni?
È proprio per questo motivo che non ho mai dato importanza al tempo, credo che nei lavori creativi sia relativo. Nel mio caso, per esempio, ci sono giorni nei quali riesco a fare molto più di quello che avevo prospettato. In altri, invece, capisco che è meglio lasciare tutto e godermi le bellezze del territorio. Poi, ci sono le notti… anche quelle dovrebbero essere conteggiate? Notti in cui non dormi per la paura che quella scintilla, quell’idea si possa perdere nel sonno. Notti che passi in bottega, turbato da una incertezza che non riesci a risolvere, e quindi togli e posizioni freneticamente pezzetti di creta fino a trovare la giusta soluzione. Comunque, di tempo ce ne vuole, anche se resta l’ultimo dei miei problemi.

Ha appena ottenuto il titolo di MAM – Maestro d’Arte e Mestiere, riconoscimento biennale della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte a maestri artigiani che si distinguono per talento, saper fare e altissima competenza. Com’è stato ricevere questo riconoscimento?
Avere questo riconoscimento a cinquantotto anni, a quaranta dall’iscrizione alla Camera di Commercio di Napoli, mi ha fatto capire che, in fondo, un segno lungo il mio cammino l’ho lasciato, e questo mi rende immensamente felice e orgoglioso. Allo stesso tempo, sento ancora di più il peso della responsabilità nei confronti di questo straordinario mondo dell’artigianato artistico. Paradossalmente, soprattutto nei luoghi turistici, un turismo intensivo ha sconvolto l’identità dei territori e tanti artigiani, anche per sopravvivere, si sono trovati a trasformare le loro produzioni basandole più sulla quantità che sulla qualità. Ora, ancora più di prima, farò di tutto per non vendermi alle mode e alle circostanze.

Organizza corsi e laboratori per tramandare quest’arte, o sarebbe disposto a trasmettere le sue conoscenze a chi volesse apprendere il mestiere?
Lo faccio da anni, soprattutto nelle scuole, spesso aiutato da altri amici artigiani. In questi ultimi anni, quello che manca di più è il racconto. Da una parte c’è una carenza di figure carismatiche, che sappiano raccontare, e dall’altra c’è chi non ha più voglia di ascoltare: soprattutto i giovani, stanchi di essere traditi da una società sempre più distratta. Ecco, il maestro artigiano può – attraverso i suoi gesti, la sua passione, la sua storia – trasmettere i suoi saperi e alla fine anche questo può diventare un’arte, l’arte del tramandare. Troppo spesso, anche in un recente passato, la tomba dell’artigiano è divenuta – per gelosia o per ignoranza – la cassaforte dei suoi segreti, ed è così che tante attività sono scomparse. Questo non possiamo più permettercelo. Dobbiamo trovare un modo per entrare nel mondo della scuola o cercare di accogliere i ragazzi nelle nostre botteghe, provando in tutti i modi ad appassionarli, anche avvicinandoci al loro linguaggio.
Immagino un luogo dove possano convivere più laboratori, nei quali maestri liutai, orafi, ceramisti, ebanisti, intarsiatori possano lavorare ed essere osservati, perché tutto inizia guardando mani che lavorano. Il mio ricordo va alle parole dello scrittore Mario Stefanile, che così racconta una sua visita a San Gregorio Armeno: ”poi guardavo gli artigiani più giovani, dal volto patito, gli adolescenti dagli occhi cupi di olive greche, la sciarpa di lana rossa intorno al collo gracile, la tosse dentro il petto: e sognavo di essere uno di loro, di stare anch’io a manipolare la creta, ad appallottolarla, a stenderla, a farle assumere movimento e vita, grazia e dolcezza”.

Tiziana Grassi e l’Ospedale delle Bambole: un luogo magico, custode di ricordi e di storie

Immergersi in un’esperienza inaspettata: un vero e proprio paradiso per i bambini, che possono recarsi in questo luogo, soprattutto sotto Natale, per dare una nuova vita alle loro bambole e ai loro giocattoli, valorizzando ciò che hanno già.

Come nasce l’idea dell’Ospedale delle Bambole e qual è la storia di questa bottega-museo?
L’insegna “Ospedale delle Bambole” venne affissa fuori dalla bottega del mio bisnonno, in via San Biagio dei Librai 81 a Napoli, nel 1895. Luigi Grassi era scenografo del teatro dei pupi e spesso si trovava ad aggiustarne qualcuno che in battaglia perdeva un arto o la testa. Veniva chiamato ‘dottore’ perché portava sempre un camice, per non sporcarsi di vernice. Un giorno, una signora gli portò una bambola rotta e gli chiese di provare ad aggiustarla: ci riuscì e nel quartiere si sparse la voce che c’era un dottore che curava le bambole. Ben presto la bottega si riempì di pezzi di bambole e una signora passando di lì esclamò “Me pare o ‘spital de’ bambule” (mi sembra l’ospedale delle bambole). Il mio bisnonno si illuminò e senza perder tempo prese una tavola di legno e con una vernice rossa scrisse “Ospedale delle Bambole” e vi appose una croce.
Dopo di lui fu il turno di Michele, mio nonno, Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana, che gestì la bottega negli anni della guerra e si dice riparasse le bambole “al prezzo di un sorriso”. Il laboratorio ottenne la prima fama con mio padre, Luigi Grassi, capace di tenere viva l’attività in un momento in cui il centro storico era palcoscenico di faide della camorra. La sua bottega fu definita “la lampada di Aladino”: l’unico posto che emanava luce e attirava turismo in anni di terrore e sconforto per i commercianti di Spaccanapoli.
Tappa per gli intellettuali del tempo e per molti artisti: Renzo Arbore, Marisa Laurito, Roberto de Simone, Peppe Barra, i De Filippo… solo per citarne alcuni.
Poi sono arrivata io e, dopo anni trascorsi a mantenere viva quest’arte nel mondo del restauro negli anni del consumismo, otto anni fa ho deciso di trasferire la bottega di 18 mq nelle scuderie di Palazzo Marigliano: un laboratorio-museo di 150 mq che potesse raccontare la nostra storia, accogliere tutto quello che le tre generazioni che mi precedono hanno conservato, con cura certosina, all’interno di magazzini sparsi nel centro storico, e far “rinascere” il tema del restauro, raccontando ai nostri visitatori quanto è importante non abbandonare un oggetto amato.

Simone Cenedese: alto artigianato e design contemporaneo nel vetro, tra i colori della Laguna

Simone Cenedese ha ereditato la vetreria dal padre Giovanni, che la aprì negli anni ‘70 a Murano. Da subito la fornace si è affermata come un’eccellenza nella lavorazione artistica del vetro: Simone, grazie al suo talento e al suo spirito di innovazione, l’ha resa un punto di riferimento internazionale anche per molti designer che desiderano sperimentare con il vetro di Murano, e dar forma alle loro idee.
Negli anni il maestro ha maturato uno stile unico, realizzando oggetti originali e dal gusto contemporaneo. I suoi vetri, puri e brillanti, sono ottenuti attraverso una miscela segreta di minerali. Le sue creazioni sono disponibili in vari colori e personalizzabili su richiesta, anche con l’applicazione di foglia d’oro o d’argento e di altre finiture particolari.
L’azienda realizza inoltre grandi opere d’avanguardia che vengono esposte in prestigiosi spazi pubblici e concept store. La fornace e lo showroom apriranno le loro porte al grande pubblico, con visite guidate e altre esperienze, in occasione di “Homo Faber in Città”, iniziativa curata da Fondazione Cologni, collaterale alla grande mostra “Homo Faber: The Journey of Life”, promossa da Michelangelo Foundation a Venezia, presso l’Isola di San Giorgio Maggiore.

Qual è la sua storia e come si è avvicinato alla lavorazione del vetro?
In realtà non potrei indicare il momento esatto in cui mi sono avvicinato al vetro; fin da piccolo ho respirato “aria di fornace” nella vetreria di mio padre. Ho sempre visto lavorare il vetro e per me è stato quasi naturale iniziare a farlo anche io.

Per il suo lavoro, che importanza ha avuto il legame con il territorio e l’isola di Murano?
Fondamentale. Il mio legame con l’isola di Murano è molto forte. Mi ha influenzato a 360° con le sue mille sfaccettature, non solo in termini di formazione professionale.
Tutto quello che mi circonda mi ha stimolato e ispirato: i rumori degli attrezzi, i forni accesi, i colori della laguna, il profumo della salsedine, il vento, i colori del tramonto. Tutto questo è dentro alle mie opere.

Attombri: gioielli-scultura senza tempo, tra moda, design e arti applicate

Attombri è un laboratorio artigiano a Venezia, dove il vetro, combinato con altri materiali come il rame e l’argento, diventa bigiotteria e complemento d’arredo.
Dalla fine degli anni ’80 i fratelli Stefano e Daniele Attombri interpretano la storia, le tecniche e le potenzialità di questo materiale in chiave contemporanea, dando vita ad accessori ed elementi che uniscono moda, design d’interni e arti applicate.
Realizzano lampade, oggetti di decorazione e d’uso, ma soprattutto estrosi gioielli: tutti pezzi unici di fattura artigianale, anche su commissione: oggetti d’arte estrosi e senza tempo, che continuano la tradizione delle “perlere” veneziane, combinata a tecniche di loro invenzione e ad influenze etniche e liberty.
Le loro opere sono stati pubblicate ed esposte in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, fino al Giappone. Hanno vinto il premio “New Talent 2006” del More, fiera del gioiello di Milano. Hanno collaborato con realtà prestigiose, come Dolce & Gabbana, Romeo Gigli e Pauly.

Qual è la vostra storia e come vi siete avvicinati al mondo del vetro?
Io e mio fratello abbiamo iniziato la nostra attività più di 37 anni fa, in una Venezia completamente diversa da quella di oggi.
Abbiamo avuto la fortuna, nei primi anni ‘90, di entrare nella fabbrica della Veneziana Conterie a Murano, proprio nel momento in cui stava chiudendo i battenti per sempre.
Abbiamo visto un mondo che sarebbe finito con quella chiusura, e abbiamo capito che il nostro lavoro doveva essere incentrato sul portare avanti quella tradizione. Così abbiamo cominciato ad acquistare quelle perle, per farle rinascere con un design più contemporaneo.

Constance Schürch è la vincitrice del Concorso “Artigiano del Cuore” 2024

Constance Schürch è cresciuta nel sud del Cile, ha studiato design e, dopo qualche anno di lavoro come progettista per importanti istituzioni, si è resa conto che la sua vera vocazione era creare gioielli con le sue mani.
Grazie a una borsa di studio, si trasferisce a Firenze nel 2015, per imparare le tecniche dell’alta gioielleria italiana accanto ai migliori maestri. Oggi ha il suo laboratorio nel centro della città, dove realizza gioielli esclusivamente su misura.
La vincitrice della settimana edizione di “Artigiano del Cuore” (2024), racconta la sua storia e i suoi obiettivi futuri, che il premio previsto dal Concorso contribuirà a realizzare.

Complimenti per la vittoria! Come hai vissuto il concorso Artigiano del Cuore?
È stata un’esperienza esaltante e arricchente. Dal momento in cui mi sono candidata e sono stata contattata da voi, ho trovato ogni fase del processo di selezione divertente e stimolante. Essere scelta tra i primi 10 finalisti di un concorso nazionale in Italia mi è sembrata una vittoria in sé, un riconoscimento dell’impegno che ho dedicato alla mia passione, alla mia vita in bottega, ai miei gioielli unici e fatti a mano qui a Firenze.
Ciò che ha reso questo viaggio davvero incredibile è stato il sostegno e la collaborazione della comunità. I loro voti e il loro incoraggiamento sono stati fondamentali in tutto il percorso, rendendolo un’esperienza profondamente emotiva e potente fino alla fine. È stata una conferma del fatto che un’artigiana, al giorno d’oggi, deve essere molto legata alla gente, perché la nostra arte è condivisa con le persone, è per le persone, e se sei flessibile e disponibile ad ascoltare, allora sei arrivata a creare qualcosa di speciale per qualcun altro.
Questa vittoria non è solo mia, ma è un risultato condiviso con tutti coloro che hanno creduto nel mio lavoro, mi hanno sostenuta e hanno sentito che sfidare quello che sembra impossibile per perseguire un grande sogno, può avere dei grandi risultati.

Martina Vidal: la tradizione del merletto di Burano diventa esperienza

L’Atelier Martina Vidal porta avanti la tradizione del merletto di Burano da ormai quattro generazioni. Nato come una piccola bottega a gestione famigliare da un’idea di Martina Vidal, il brand confeziona oggi biancheria di lusso per la casa e per la persona, e si è dotato di un elegante showroom sull’isola di Burano, nella laguna veneta.
Le collezioni sono frutto di passione, esperienza e creatività, rigorosamente Made in Italy, realizzate a mano con tessuti di qualità.
Oltre al negozio e all’attiguo Museo del Merletto, Martina Vidal ha allestito il Venice Secret Garden: un luogo di relax e di piacere, un giardino da cui ammirare le bellezze dell’isola gustando i tipici biscotti buranelli. Grazie al continuo impegno nella didattica e nella divulgazione di quest’arte, negli anni l’atelier è diventato un luogo dove il merletto non è solo una tecnica da preservare, ma un’esperienza contemporanea da vivere in prima persona.

Qual è la tua storia e come ti sei avvicinata alla tecnica del merletto?
Sono nata sull’isola di Burano, e per tradizione ho imparato a lavorare la tecnica del merletto ad ago da bambina, guardando mia mamma, la nonna e le zie che realizzavano il merletto in casa. Mia mamma è stata una merlettaia che ha frequentato la scuola del merletto di Burano, aperta nel 1872 e chiusa nel 1970. Negli anni ’90, quasi maggiorenne e con l’aiuto della mia famiglia, ho aperto una piccola bottega artigianale del merletto.

Per il tuo lavoro, che importanza ha avuto il legame con il territorio e l’isola di Burano?
Quando ho aperto la prima bottega della famiglia Vidal, che ho chiamato “Artigianato del Merletto da Martina”, ho realizzato un sogno. La denominazione si adeguava alla tradizione dei negozi di Burano, piccole attività, quasi interamente femminili, dove il nome identificava già uno stile, un modo di fare. Oggi il mio lavoro, che si concentra sulla realizzazione e vendita di biancheria per la casa, è ancora molto legato ai valori dell’artigianato e del ben fatto, e alla volontà di creare collezioni originali e di alta qualità.

Artigiano del Cuore 2024: vi presentiamo i 10 finalisti

Sono stati selezionati i 10 finalisti e finaliste del concorso “Artigiano del Cuore”, promosso da Fondazione Cologni e Wellmade e patrocinato da Fondazione Italia Patria della Bellezza, e giunto quest’anno alla settimana edizione, dedicata ad artigiani e imprese artigiane con sede in tutta Italia, che portano avanti un mestiere d’arte.
Scelti dalla commissione interna alla Fondazione Cologni tra le tante candidature ricevute, i selezionati possono ora accedere alla fase successiva del Concorso: adesso tocca al pubblico, tramite votazione online direttamente sul sito, decretare il vincitore o la vincitrice, che potrà beneficiare del premio in palio.

I finalisti della VII edizione del Concorso Artigiano del Cuore sono:

Giulia Bonora, ceramista – Gallarate (VA)
Elena Baldi | Aerial Costume, sarta e costumista – Alpignano (TO)
Constance Schurch, orafa – Firenze
Edoardo Mocellin, decoratore del legno – Valbrenta (VI)
Elisa Silvestri, tessitrice – Nonantola (MO)
Hugo Lejeune, ebanista e restauratore – Licciana Nardi (MS)
Camilla Cevolani e Sofia Malavasi | Vetreria Gamberini, vetratiste – Bologna
Arcangelo Ambrosi, ebanista – Bitonto (BA)
Simona Pierotti, tessitrice – Forte dei Marmi (LU)
Filippo Sanpaolesi e Leonardo Davighi | Codiceds, orafi – Roma

Dal 24 al 28 giugno alle 12 puoi votare il tuo Artigiano del Cuore direttamente sul sito del Concorso, cliccando sul cuoricino sotto al suo nome.
Chi riceverà più voti, avrà diritto al premio in palio. Il vincitore o vincitrice sarà annunciato/a lunedì 8 luglio, sul sito ufficiale del concorso (www.artigianodelcuore.it) e sui canali social di Wellmade.
Scopri le storie dei finalisti e vota il tuo preferito o la tua preferita!

Mille botteghe artigiane su Wellmade: la community diventa sempre più grande!

La community Wellmade diventa sempre più grande, e da oggi conta ben mille botteghe artigiane aderenti al progetto!

Da quando è nata la piattaforma, voluta e finanziata da Fondazione Cologni nel 2015, il suo obiettivo è sempre stato quello di promuovere e sostenere i maestri d’arte italiani, facendo conoscere a un pubblico sempre più vasto il loro talento e il loro lavoro.

Armonie Senza Tempo: i Fratelli Ruffatti e l’intramontabile tradizione organaria

Fratelli Ruffatti è un’azienda artigiana di costruttori e restauratori di organi a canne. Il laboratorio padovano è nato nel 1940 e in poco tempo, grazie alla maestria dei fondatori e alla bellezza e qualità dei loro strumenti musicali, ottiene importanti incarichi non solo in Italia, ma in tutto il mondo: dall’Europa all’Asia, dall’Africa agli Stati Uniti.
L’impresa artigiana è stata tra le prime del paese a intraprendere, negli anni ’60, la costruzione di organi con il sistema meccanico. Nel loro laboratorio si costruisce ogni componente, fino ai particolari più minuti: ciò consente il massimo controllo della qualità e la personalizzazione di ogni strumento. Nel 2020, Piero e Francesco Ruffatti, seconda generazione alla guida dell’attività, hanno ottenuto il titolo MAM – Maestro d’Arte e Mestiere, riconosciuto dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte.

Qual è la storia di Fratelli Ruffatti e come vi siete avvicinati al mondo degli strumenti musicali?
La ditta nasce nel 1940 dall’iniziativa di tre soci, i fratelli Antonio, Giuseppe e Alessio Ruffatti. Dopo un apprendistato presso la storica ditta Malvestio di Padova, che all’epoca stava chiudendo i battenti, iniziarono il loro percorso in modo autonomo, conquistando in poco tempo la fiducia e l’apprezzamento di molti organisti e clienti.
Grazie anche a diverse innovazioni tecniche, la fama della Famiglia Artigiana Fratelli Ruffatti raggiunse ogni angolo d’Italia e, negli anni ‘60 del secolo scorso, anche i mercati esteri, principalmente il Canada e gli Stati Uniti.
Dal 1968 accanto ad Antonio, unico rimasto dei tre soci fondatori, subentrarono i figli Piero e Francesco, e l’attività ebbe uno slancio ancora maggiore, soprattutto nell’esportazione. Oggi si contano più di seicento strumenti, alcuni dei quali di enormi proporzioni, sparsi in tutti i continenti. I mercati di riferimento, oltre a quello italiano, sono Inghilterra, Irlanda, Svezia, Stati Uniti, ma anche Australia, Corea, Giappone, Cina e altri paesi.

Candidati al Concorso “Artigiano del Cuore” – VII Edizione 2024

Via alla settima edizione del concorso “Artigiano del Cuore”, promosso dalla Fondazione Cologni e dalla piattaforma Wellmade, in collaborazione con Fatti ad Arte, rivolto quest’anno ad artigiani di tutte le età, e a botteghe di tutta Italia che portano avanti un mestiere d’arte.
Il vincitore o la vincitrice potrà beneficiare di un percorso di formazione e consulenza personalizzato sulla comunicazione digitale, finanziato da Fondazione Cologni e tenuto da Museum Strategy. In questo modo, il Concorso si propone come facilitatore nel colmare il digital gap delle imprese artigiane, sostenendole nella loro transizione digitale.

 

L’iniziativa nasce nel 2018 per promuovere l’artigianato artistico italiano e sensibilizzare il pubblico sull’importanza dei mestieri d’arte, attraverso la comunicazione digitale. Giunto nel 2024 alla sua settima edizione, si tiene ogni anno in primavera, e si rivolge esclusivamente ad artigiani professionisti.
Dopo il successo delle prime sei edizioni, che hanno visto la partecipazione di centinaia di artigiani candidati e migliaia di votanti da tutto il territorio nazionale, il 22 aprile 2024 ha inizio la VII edizione, giorno a partire dal quale è possibile candidarsi al Concorso.