Il percorso artistico di Tarshito da anni rappresenta l’anello di congiunzione tra la nostra cultura artistica e artigianale e quella orientale. La sua pratica progettuale, carica di riferimenti mistici e spirituali, trova nella cultura del fare indiana la sua più intensa rappresentazione e formalizzazione.
Tutti conoscono la sua coerenza e il suo amore per i materiali e la cultura mediterranea; qual è la sua posizione di progettista nei confronti del mondo del design e dell’arte applicata?
Non si tratta di posizioni, magari contrapposte, ma entrambi questi elementi che si fondono nel mio approccio, nella mia sensibilità dell’operare. Io, in effetti, mi sento «una congiunzione» fra le varie culture. Sono nato in una zona occidentale del mondo ma ho avuto l’opportunità, anzi, sto avendo l’opportunità di frequentare molti altri luoghi del pianeta Terra e in particolar modo l’India, un luogo dalle profonde radici culturali. Sto studiando un po’ le Sacre scritture, i Veda di 4mila anni fa donati proprio all’India. Questo mio muovermi tra due posti del mondo apparentemente così diversi, apparentemente così antitetici, frequentando la cultura artistica e artigianale dei due luoghi, l’India e la laboriosa Puglia, nel sud dell’Italia, mi sta facendo vedere in maniera abbastanza chiara e forte l’unità fra questi opposti; sto piano piano sentendo «l’Uno», fra l’East e il West. Più viaggi compio, più gente conosco della Puglia (con cui mi relaziono per realizzare ceramiche dorate, grande tradizione dell’Italia), in particolare del sud della Puglia, o più conosco persone tribali dell’India, che usano dipingere le proprie case, le proprie capanne di terra cruda, che dipingono per ringraziare il divino, affinché il raccolto possa andare bene, affinché un matrimonio possa andare bene… e più riscopro piccole ritualità un po’ dimenticate. Le riscopro soprattutto in questo luogo del mondo da cui vi sto parlando, l’Italia, di cui indago i riti di fondazione. Da architetto mi capita spesso di parlare con qualche anziano muratore di piccoli danari donati alla madre terra o di altri doni da fare, per cui attraverso le ritualità, attraverso il «vecchio sapere», il saper fare, delle mani, a volte italiane, a volte indiane, a volte albanesi con cui ho la fortuna e la gioia di poter collaborare. Ecco, attraverso questa magica area che è il simbolismo, che è la ritualità che va al di là della cultura specifica orientale o occidentale, ecco, attraverso questa area io, man mano nel tempo, ho cominciato a vedere unite queste due parti fino a farne una sola, per cui ciò che io sento non è più una cultura mediterranea o una cultura orientale: è semplicemente cultura. E se prima ho parlato di radici, di ritualità, di simboli, quel che voglio significare è proprio la visualizzazione della radice, di una forma che sto realizzando o che sta realizzando un artista o un artigiano indiano piuttosto che pugliese. Se, attraverso questa forma, il suo simbolo mi porta a un concetto, c’è una forza altrettanto grande che invece mi riporta verso il Trascendente. Per cui, attraverso il simbolo, ciò che è più importante è proprio questa grande profondità che mi permette di entrare nella concettualità. Questo agire mi conduce inevitabilmente all’essenza del progetto, a questa forma di consapevolezza; questo tentativo di avvicinarsi all’essenza è un mezzo per onorare, per offrire lo stesso progetto al Trascendente. Per cui la mia posizione di progettista nei confronti della creatività è un cammino, è un viaggio.